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I luoghi della pittura

I cambi della sede dello studio del pittore seguono l’itinerario artistico di Bergomi sulla base delle esigenze dettate dal bisogno di uno spazio adeguato al proprio lavoro, di un ambiente rappresentativo, semplicemente per ritrovare una dimensione conforme alla propria sensibilità.

Ne diamo testimonianza facendo tesoro della narrazione di chi ha conosciuto Giacomo da vicino sin dagli esordi come Giorgio Sbaraini (in Bergomi, Flero 1999) e Sergio Gianani (in Bergomi il pittore della memoria, in “il Giornale della Bassa”, marzo 1987) oppure in incontri circoscritti come nel caso di Stefano Saglia (in Dalle Ande alle Alpi, in “Profili”, n. 29 autunno 1993)

Altre notizie sono state recuperate in questi anni di lavoro incontrando diversi amici e collezionisti che ci hanno fornito preziose informazioni sulla vita dell’artista. Di seguito forniamo una ricostruzione cercando di restituire il segno di una vita spesa per l’arte.


GLI ESORDI: gli anni Cinquanta

 

LA CHIESINA DI LOGRATO

A Lograto si fa lo studio in paese, prendendo in affitto la vecchia chiesa che, prima di venire sconsacrata, era servita per anni come battistero. La “cisulìna” è di fianco alla parrocchiale settecentesca e di fronte al parco del castello Morando, che aveva – adesso non più: li hanno dovuti tagliare perché pericolanti – due enormi platani secolari, che ci volevano quattro uomini per abbracciarne il tronco. Alla “cisulìna” si accede per una modesta rampa acciottolata: ha davanti un porticone, d’inverno ci fa un freddo cane: ma i brividi glieli dà la scoperta che, sotto il pavimento, vi è un’ampia cripta piena di ossa, inumate lì quando, per edificare nel 1717 la parrocchiale, era stato spianato il vecchio cimitero.
È qui, nella “cisulina” che per un poco lo turba con i suoi fantasmi, che Giacomo si riappropria del suo mondo, in un’amorosa rivisitazione del tempo perduto. Per lui è come tornar a scavare in una miniera di ricordi appena sopiti: riprende a mettere sulla tela – da grande pittore “naturale” come è sempre stato, arricchito nello stile e nella tecnica – i volti dei contadini bruciati dal sole e scavati dalla fatica, le sue donne (“cerbiatte, mule e leonesse, tenerezza sottomissione e gagliardia, paradigma e àncora dei valori della famiglia e della casa, della quale sono risidore attente e sparagnine”) incurvate più dal lavoro che dall’età, i girovaghi con le carovane e i cavalli e i girovaghi dei mestieri – stagnari, ombrellai, arrotini, gli ambulanti delle pelle di coniglio, “strasse, òss, feramenta rota” -, i ragazzi innocentemente protervi, i gruppi dolenti dei ciechi che si tengono per mano, le case scrostate, le strade, la cascina e il microcosmo che le sta intorno, campi verdi indorati dalle messi o resi color marrone dall’aratura, filari di gelsi e rive frondose di platani e di pioppi, ravizzoni e verzacchi di un bel giallo tenero, piane azzurre di lino, campi di tabacco dalla pianta rigogliosa, i fossi di bonifica e d’acqua sorgiva, e poi piante scalvate e lenzuoli distesi ad asciugare, fontane e gnari sfrontati (come eravamo noi, quando prendevamo d’assalto i campi di angurie e di meloni, rischiando una schioppettata a sale), portici e fienili, vecchi usci suggestivi, povere camere con letti e sedie sgangherate: è questa, in sostanza, la materia pittorica di Bergomi, resa con mano felicissima e con innato cromatismo. È qui che Bergomi dà il meglio di se, con molta forza espressiva, che corrisponde comunque alla forte pulsione interiore, e con pari tenerezza.
 (GIORGIO SBARAINI)

 

GLI ESORDI: studi occasionali

 

PALAZZO NODARI AD ORZIVECCHI

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Abbiamo testimonianza dalla Famiglia Nodari di Orzivecchi di un breve periodo di lavoro databile al 1952  presso una stanza nell’ambito del palazzo di famiglia. Qui Bergomi probabilmente sostò per realizzare in tempi successivi opere di committenti locali.

 

IL CASTELLO DI MACLODIO

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Di questa sosta di Bergomi ne parla il Prof. Sergio Gianani:

Poi Giacomo, che di pittura doveva campare, andò a Milano dove qualcosa si poteva vendere – allora Brescia non era quel buon mercato che divenne una quindicina d’anni dopo. Io, nel frattempo, ero sceso da Lumezzane dove insegnavo come supplente in una scuola elementare ed ero tornato alle mie Basse. Avevo preso in subaffitto due gelide stanze nel castello di Maclodio, a un tiro di schioppo da Lograto dove Bergomi tornava spesso a trovare la famiglia. In questo castello c’era un vasto salone forse testimone dei noti fatti storici che costarono la testa al Carmagnola. Come studio per un pittore l’ambiente era l’ideale, ma non si poteva occuparlo stabilmente perché dichiarato d’interesse storico, o così credo. Comunque, chiesto il permesso all’affittuario del castello Bergomi piazzò tredici cavalletti in fila con altrettante tele della stessa dimensione e in un giorno passando da una tela all’altra coni vari pennelli intrisi ognuno di un colore portò a termine tredici marine di dignitosissima qualità commerciale. Le vendette poi a Milano per poche migliaia di lire. (SERGIO GIANANI)


L’AFFERMAZIONE ARTISTICA: gli anni Sessanta e Settanta

E’ il tempo dell’affermazione artistica e del trasferimento a Brescia.

 

RUA SOVERA AL CARMINE

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Durante il 1960 trova studio in rua Sovera al civico 14 nel Quartiere del Carmine.

L’anno successivo, Bergomi lascia Lograto e prende lo studio in rua Sovera (la strada dove anticamente, quando le strade avevano i nomi dei mestieri che vi si esercitavano, i soiari fabbricavano le botti, i mastelli e i soi per il bucato), stretto budello di case tra il serpentone di via San Faustino e il Carmine, antico quartiere del centro storico pieno di artigiani, lavandaie, povere osterie e donne di vita, perché “si viene a questo mondo per via del sesso e il sesso, a Brescia, è stato sempre acquartierato al Carmine e il Carmine, ci si sentisse peccatori oppure no, era il sesso…”
Ma il Carmine era anche la nostra Monmartre paesana, il quartiere bohemien dei pittori di casa nostra: la soffitta di Bergomi è al sesto piano, la scala per arrivarci è lunga, angusta, a stretti angoli retti, ma vale la pena di arrabattarsi su per i cento e passa gradini per arrivare sopra, in un luminoso abbaino, dal quale si vedono scorci della città vecchia, e i tetti rossi e digradanti, con qualche baltresca: i condomìni, per fortuna, sono abbastanza lontani per non guastare la meravigliosa unità ambientale. (GIORGIO SBARAINI)

 

VIA TRIESTE IN CENTRO STORICO

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Raggiunta amplia notorietà nel panorama artistico bresciano, durante il 1964 trasferisce il suo studio nel salone di una casa patrizia in via Trieste al civico 48, un ambiente più adeguato al suo lavoro.

 

UNO STUDIO “RIFUGIO” A BERLINGHETTO

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Tra la seconda metà degli Anni Sessanta e la metà degli Anni Settanta, Bergomi allestisce uno studio sconosciuto ai più presso Palazzo Gambara in via Chiari 15 a Travagliato a poca distanza dal centro abitato di Berlinghetto. Oggi è la location di una tenuta dove si organizzano eventi. Per Bergomi diventa un rifugio segreto per dipingere nella pace della campagna della sua Bassa e per fuggire dalle pressioni del lavoro in città.


LA MATURITA’: gli anni Ottanta

 

LO STUDIO DI MOMPIANO

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All’inizio degli Anni Ottanta per alcuni anni sposta lo studio in una cascina di via S. Antonio a Mompiano a causa dei lavori di sistemazione del Palazzo di via Trieste in città.

 

LA CASA-STUDIO DI BERLINGHETTO

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12_800Fonte : “Profili”, n. 29 autunno 1993

Torna nel Palazzo di via Trieste per poco tempo perché nel 1988 trasferisce lo studio e l’abitazione privata nella cascina di via Esenta a Berlinghetto.

Da qualche tempo Bergomi è – come si suol dire – tornato ad abitare e a lavorare dove le sue radici hanno succhiato a lungo la linfa vitale, in una cascina a un tiro di schioppo dalla “Colombera”, alla quale ogni tanto, quando stava altrove, tornava come in pellegrinaggio sentimentale, chiedendo il permesso di rivedere quelle stanze disadorne e i muri su cui aveva disegnato a carbone. […] E tuttavia Giacomo in campagna ha voluto tornare, forse perché gli riesce più agevole cercare l’osso di seppia di una condizione arcaica, densa di memorie e di ricordi, da rivisitare e mettere su tela.  (GIORGIO SBARAINI)

Raggiunta la cascina che rispondeva all’indirizzo segnato sull’agenda si presenta un uomo dai capelli d’argento. Camicia a quadri scozzesi jeans scoloriti e scarpette da ginnastica Adidas allacciate ai piedi. L’accoglienza è calorosa. La discrezione del personaggio che ci sta di fronte mette in luce tutta la sua umanità. Percorriamo una lunga scala di pietra. Il rumore delle mie calzature di cuoio cozza con un’atmosfera fuori dalla consuetudine. Da un momento all’altro ci aspettiamo di udire un muggito, un grugnito, una voce che scandisca parole in caldo dialetto. Niente. Superando l’ultimo gradino invece scopriamo un tesoro. Ci sono quadri dappertutto. In un crescendo di ordinata confusione che lascia disarmati ma induce ad interrogarsi sulla personalità dell’artista che ci sta facendo da Cicerone. L’occhio viene attirato all’istante. Quei sapori della campagna che cercavamo nella manifestazione concreta di un verso sono ora dinnanzi a noi. Accostati l’uno all’altro. I particolari di una genuinità scomparsa sono tutti lì. Sembra che le tele stiano soffiando via la polvere da un vecchio libro di fotografie. Un alito di vento che come per magia dona nuovamente il gusto di un passato che sembrava dimenticato. Sono i particolari all’apparenza più crudi a consentire il salto a ritroso: una porta socchiusa e malferma con i cardini che non combaciano più, un paio di zoccoli infangati, abbandonati in qualche modo a pochi passi da una ciotola, testimonianza della stanchezza nemica dell’ordine dopo una giornata di duro lavoro. E ancora: una scala in legno grezzo forse traballante, una pignatta sospesa nel camino. Accanto alle sue opere Bergomi si schernisce. Si nasconde Non vuole apparire. «Sono i quadri che devono parlare – dice -, in fondo loro possono durare ben di più di una vita umana qualunque». (STEFANO SAGLIA)


GLI ULTIMI ANNI

 

LA CASA-STUDIO DI CELLATICA

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Nel 2001 abbandona Berlinghetto e si stabilisce a Cellatica in via Castagneti 3 dove oggi abitano la moglie Anna e il Figlio Stefano e dove ha sede il Gruppo Giacomo Bergomi.